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.: TRADIZIONI E FESTE
 Una parte fondamentale della tradizione siciliana riguarda i racconti orali, raccolti nell'Ottocento da Giuseppe Pitrè nella Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane. Si va dai cunti, alle fiabe, ai proverbi, agli scioglilingua. Il personaggio stereotipato di Giufà è il protagonista della maggior parte dei racconti che terminano con una morale. Molti di questi racconti non sono ancora stati codificati del tutto. Esistono tante leggende (come le quattro catanesi di Gammazita, fratelli Pii, Uzeta e Colapesce) che hanno una variante in ogni città (della leggenda di Colapesce esistono una trentina di versioni codificate. Esiste una vera e propria Mitologia sicula
 Le tradizioni popolari della Sicilia sono tutt'ora vive, più nei paesi che nelle città. Queste tradizioni, tanto particolari quanto pittoresche, unite al carattere, al mito e all'approccio alla vita del Siciliano ha creato nel corso dei secoli uno stereotipo che è stato tradotto in parole dal termine sicilianità. Già Cicerone marchiava i siciliani come «gente acuta e sospettosa, nata per le controversie». Ancora oggi molti autori hanno individuato un tratto comune al comportamento dei siciliani, ovviamente soggettivo, ma probabilmente non del tutto falso. Sono molti gli altri aspetti caratteristici dei siciliani: il senso alto della famiglia e dell'onore, il rispetto per la donna e per la femminilità, ma anche l'attaccamento alla propria terra, la teatralità dei gesti e degli atti, il senso dell'accoglienza, la diffidenza.
 La famiglia siciliana forma di solito un gruppo molto allargato che include anche anche i cugini più lontani, ma raramente essa è chiusa su se stessa. E' molto diffusa l'abitudine di fare grandi tavolate per pranzo o per cena, soprattutto d'estate. Gli orari sono spostati un po' più avanti rispetto al nord, arrivando a pranzare anche alle due di pomeriggio e cenare verso le nove-dieci nella bella stagione. Si tende a trattenersi un po' di più a tavola anche dopo avere consumato la cena.
 Gesualdo Bufalino definiva la Sicilia la terra della "luce e del lutto", un luogo di contraddizioni di estremi che si uniscono: così nell'immaginario il siciliano appare come un uomo solare e accogliente ma anche losco e sospettoso, convinto che il suo modo d'essere sia il migliore e il più giusto. Con questi contenuti Tomasi di Lampedusa dichiarava nel suo famoso romanzo Il Gattopardo che in "Sicilia tutto cambia affinché nulla cambi", perché sono gli stessi siciliani a ricercare il cambiamento ma nello stesso tempo a frenarlo, timorosi che esso possa spodestare le secolari abitudini e i privilegi acquisiti.
 Una terra e un luogo antropologicamente complesso e nello stesso tempo affascinante da scoprire: nel cinema, nella letteratura e nelle arti in genere. Il senso a volte tragico del destino e ma anche dell'orgoglioso attaccamento alla propria terra e alle proprie radici è testimoniato anche nella letteratura. Notevole è il ritratto lasciatoci da Giovanni Verga, capofila del verismo, nel cosiddetto Ciclo dei vinti, raccolta che include I Malavoglia. Mentre al culto della "roba", il bene materiale ricavato dalla terra e dal lavoro si deve adeguare anche il senso pur così sacro della famiglia, i personaggi che vogliono cambiare il mondo vengono puniti dalla mala sorte che li obbliga a tornare al punto di partenza, alla loro terra e alle loro radici.
Festa della Madonna della Neve
 La festa in onore alla Madonna della Neve a Giarratana ha origini antichissime. Inizia il 28 luglio , giorno dell'ottava, quando il simulacro della Madonna viene traslato dalla cappella dell'altare maggiore e posto su due travi ("u scalu", 2 travi lunghi circa 8 metri e che servono per portare in processione a spalla la statua) è messo alla venerazione. Il 2 agosto inizia il solenne Triduo che dura fino al 4 agosto. Nei tre giorni del triduo le serate sono allietate da spettacoli musicali e di prosa. Ma è il 4 agosto che fa entrare nel vivo i festeggiamenti. Alle 18,00 tra il fragore dei colpi a cannone, inizia il tradizionale giro della banda musicale. In chiesa si susseguono le funzioni con i solenni primi vespri; in serata l'atteso concerto lirico sinfonico.
 Il 5 agosto la cittadinanza è svegliata dal fragore dei mortaretti, dallo scampanio delle campane e dalla banda musicale che passa per le vie. La mattina è un susseguirsi di sante messe. Alle 11.00 la solenne pontificale celebrata dal vescovo, subito dopo, alle 12.00, si ha la spettacolare Sciuta ( attesa e preparata per un intero anno). Annunciata dallo squillo delle trombe egiziane, accompagnata dalle grida di giubilo dei portatori "e cciamamula cca nna iuta, evviva a gran patrona", dallo sparo dei Nzaiareddi e dal fragore degli interminabili mortaretti. Inizia, così una caratteristica processione lungo le viuzze del centro storico, visita la Chiesa di San Bartolomeo dove viene recitato l'Angelus Domini, e termina intorno alle 13,30 in chiesa madre. La sera dopo la messa vespertina una seconda processione, riaccompagna la Patrona, dopo un giro per la parte nuova del paese, nella basilica di Sant'Antonio Abate dove avviene la consueta consacrazione della città al Patrocinio della Santa Vergine. Chiude la serata, intorno alla mezzanotte, un grandioso spettacolo pirotecnico. È la festa della Patrona sempre uguale ma diversa da centinaia di anni.
Festa di San Giacomo a Caltagirone
 "Viva Diu e San Jacupu" gridavano un tempo i portatori del pesante fercolo di San Giacomo apostolo, patrono di Caltagirone dal 1109 per volere del conte Ruggero il Normanno, che volle erigere anche un tempio in suo onore. Dall'XI al XVI secolo la festa si svolgeva solo in chiesa, dov'era venerata una statua dell'apostolo realizzata nel 1518 da Vincenzo Archifel, orafo e scultore catanese, la stessa che ancora oggi viene portata in processione entro una bara dall'originale struttura architettonica, opera dello scultore napoletano Scipione di Guido, che in essa fuse in prefetto equilibrio le fastose linee barocche con quelle sobrie dell'arte classica. La bara ha, infatti, la forma di un tempietto, che nei sei angeli sostenenti il tetto richiama alla mente l'Eretteo d'Atene con le sue cariatidi.
 La prima festa esterna, celebrata con imponente sfarzo e con manifestazioni artistiche e cerimonie religiose solenni, si ebbe nel 1591.
 Portato a spalla, il fercolo, accompagnato dal Senato Civico e da una massa di popolo festante, percorreva le strade principali della città dalla mezzanotte del 24 luglio sino all'alba del 25, giorno consacrato all'apostolo. Il fercolo era preceduto da una preziosa cassa argentea, realizzata dal 1599 al 1701 dai più noti argentieri del tempo, contenente, in un reliquario a forma di mano benedicente, una parte dell'osso del braccio di San Giacomo donata nel 1457 alla città natale da Giovanni Burgio, vescovo di Siponto. Era una manifestazione corale di fede con qualche divagazione edonistica, che faceva folklore ma non intaccava tuttavia la devozione sentita e mantenuta fervida nei secoli.
 Da anni non si ode più il grido "Viva Diu e San Jacupu" levato alto dal popolo. La sera del 25 luglio il fercolo e la cassa della reliquia fanno il giro della città su mezzi meccanici con lo stesso cerimoniale d'un tempo e qualche variante nello svolgimento.
 In compenso il programma dei festeggiamenti s'articola e arricchisce di anno in anno di numerose manifestazioni artistiche, culturali, sportive e folcloristiche. Prima fra tutte, in ordine cronologico, la "serata alla villa", giorno 23, contrassegnata da concerti bandistici e da un fantasmagorico spettacolo di fuochi pirotecnici. Segue il "Corteo del Senato Civico" (XVII secolo) che accompagna le autorità civili ai riti religiosi la sera del 24 e del 25 luglio. In costumi del Seicento, il Corteo testimonia, nello sfarzo delle vesti dei suoi componenti, il prestigio che l'Universitas caltagironese aveva nel Regno per la vastità del patrimonio demaniale. Nelle sere del 24 e del 25 luglio viene effettuata l'illuminazione della Scalinata di Santa Maria del Monte con lumiere ad olio entro coppi policromi, disposti a disegno lungo i centoquarantadue gradini, che la rendono un arazzo brulicante di luci. Non mancano, solitamente, mostre d'arte d'ogni genere, spettacoli folcloristici di tradizione come l'opera dei pupi, manifestazioni musicali coinvolgenti tutte le fasce d'età e i più diversi interessi.
 La Festa della Madonna del Tindari(conosciuta anche come festa della Madonna Nera) si svolge il 7 settembre a Tindari, una frazione del comune di Patti, in provincia di Messina. Ogni anno Tindari in questa giornata viene visitata da migliaia di pellegrini giunti da ogni parte della Sicilia per dare omaggio alla Madonna Miracolosa.
 Nell'edizione del 2006 la processione del simulacro della Madonna Nera è partita dalla "Casa Della Vita" e passando da Locanda è giunta in piazza Santuario a Tindari dove il vescovo della Diocesi di Patti Mons. I. Zambito ha reso omaggio alla Madonna insieme ai moltissimi pellegrini.
 San Prospero è venerato come martire dalla Chiesa Cattolica, visse a Roma nel III-IV secolo.
 Non si hanno notizie scritte su di lui. Secondo la tradizione sarebbe stato ucciso per non aver rinnegato la sua fede in Cristo, intorno al 300 d.C., sotto l'impero di Diocleziano. Il suo corpo venne seppellito nelle catacombe di San Callisto a Roma.
 Sedici anni dopo la nascita di Catenanuova, avvenuta nel 1736, fu scelto come Patrono, grazie al suo nome che significa prosperità e salute, dato che la cittadina non aveva ancora un Santo protettore; infatti, il 27 luglio del 1752 il Vescovo di Cefalù, Agatino Maria Riggio-Statella (fratello del Principe Andrea Giuseppe fondatore di Catenanuova), si recò a Roma presso dette catacombe, su mandato del cardinale Antonino Guadagni, Vicario Generale di Papa Benedetto XIV, per ricevere in dono il corpo del martire Prospero, che da allora si conserva all'interno della Chiesa Matrice "San Giuseppe" di Catenanuova.
 La sua memoria a Catenanuova è ricordata in modo solenne nell'ultima domenica di settembre, preceduta da una settimana di celebrazioni religiose e popolari. La tradizione tramanda che era un nobile, dunque nell'arte viene raffigurato con abiti ricchi e sfarzosi, con in mano la palma, simbolo dei martiri, e il vessillo di porpora, rappresentante la vittoria, in Cristo, sul martirio.